mercoledì 17 aprile 2013

Lettera del Sovrano Gran Maestro Aldeberan S. I. I. a Tutti i Martinisti - Gastone Ventura


In occasione del prossimo convento della 1ª e della 2ª provincia e dell’organizzazione del convento generale annuale che si svolgerà sul tema: “Il materialismo e la sua essenza; sua posizione nell’arengo iniziatico; doveri del martinista”, riteniamo opportuno richiamare tutti gli appartenenti all’Ordine all’osservanza di quelle norme che promanano dai simboli fondamentali dell’Ordine stesso: tritume, maschera, mantello, nonché dagli statuti e fondamenti sui quali si basa la disciplina di tutti i martinisti.
Abbiamo purtroppo constatato in questi ultimi tempi, e particolarmente fra coloro che pur avendo liberamente, senza pressione alcuna, richiesto di esser ricevuti tra noi provengono da altre fratellanze (che regolarmente frequentano come, del resto, è loro dovere) una irrequietezza che ci fa dubitare della iniziazione tradizionale, e della loro capacità, pur avendo visto il tritume; di trarne quegli insegnamenti che sono indispensabili per raggiungere prima la maschera e poi il mantello.
Ciò anche se più di qualcuno, per errore – sia esso in buona fede o meno – di qualche iniziatore, maschera e mantello ritengono di averlo raggiunto con la trasmissione del grado che al simbolo si riferisce.
A costoro – se costoro ci sono, come dubitiamo – dobbiamo dire che sono in errore.
L’acquisizione, prima della maschera, poi del mantello, non dipende dalla trasmissione di un grado, ma dalla certezza interiore di averli raggiunti lungo la pesante strada dello studio, della rinuncia, della capacità di trarre dal proprio Io la semente del Sé. Ciò che, in parole povere, vuol dire che chi ha trovato tal seme ed è in grado di farlo germogliare non adduce più alcuna importanza alla vanità
dei gradi, alle piccole e vane camarille per la supremazia di un gruppo sull’altro, e tutte le altre quisquilie che promanano dalla vita profana, e che nulla hanno a che vedere con l’iniziazione, anzi, portano immancabilmente alla contro-iniziazione. Per essere ancora più chiari, spiegheremo a coloro che non lo avessero ancora capito che l’acquisizione di un grado d’iniziazione non può essere concessa da nessuno, ma si conquista da se stessi: consegue a ciò che i gradi concessi dagli iniziatori non possono assolutamente rappresentare l’acquisizione di una maggior conoscenza e, quel che più conta, di un avvicinamento alla realizzazione, ma sono soltanto un incarico gerarchico necessario per costruire la piramide di un Ordine iniziatico che possiede i poteri di trasmissione della via iniziatica tradizionale e che tale trasmissione deve effettuare per mantenere la tradizione (in altre parole “perché la fiaccola non sia mai spenta”) indicando la via della realizzazione, ma che la realizzazione non può trasmettere (ed è ovvio sia così altrimenti l’Ordine non sarebbe – come lo è – una organizzazione umana ma qualcosa di soprannaturale) perché la realizzazione è una cosa assolutamente personale. E chi dice il contrario afferma il falso.
Ovvio il dire che in una organizzazione come la nostra e cioè un Ordine iniziatico – i gradi che costituiscono gli incarichi sono affidati – o almeno lo dovrebbero essere - a chi ha dato dimostrazione di aver studiato e appreso le dottrine e la materia adatte ad aprire la via della realizzazione, e di aver dimostrato di aver ben compreso i tre fondamentali simboli dell’Ordine. Che quanto abbiamo detto risponda al vero è provato da un fatto certo: chi ha raggiunto la realizzazione non ha più bisogno di insegnamenti o di guida, né di appartenere a cariche gerarchiche perché è al di sopra di tutto ciò. In altre parole si è immedesimato nel simbolo del mantello, ciò che rappresenta la finalità dell’Ordine e provoca – come è naturale essendo la finalità – l’immediata “uscita” dall’Ordine stesso rafforzando – e non rompendo come agli ignari potrebbe sembrare – la catena martinista con la sua “presenza”. Ogni “uscita” di questo tipo è una vittoria dell’Ordine e un suo sicuro rafforzamento: si tratta di coloro che noi sentiamo intorno a noi, pur non essendo presenti, quando “invochiamo” i maestri presenti e passati.
Chi non ha capito questa semplicissima e ovvia identificazione del simbolo, non è un martinista né lo potrebbe essere, e continuerà a interessarsi di questioni che ritiene esoteriche e che sono soltanto occultistiche, ma che, nella realtà, rientrano nel campo profano. Oppure a crogiolarsi nella vanità di un bel discorso o nello sciocco orgoglio di gradi conseguiti (e nella brama di quelli da conseguire), e quel che è peggio, nelle beghe delle camarille tendenti ad acquistare “potere” asservendo gruppi ai loro fini, od a fini che non sono neppure i loro ma di quelli che li manovrano, e ciò talvolta per spirito settario quando non, forse, per loffa di qualche sciarpa multicolore. Fatto questo distinguo fra l’iniziazione e la gerarchia di un Ordine – distinguo che spiega come un semplice associato possa anche essere capace di far germogliare il seme del Sé, mentre Noi stessi, al vertice della piramide dell’Ordine, e fors’anche proprio per questo, non ci siamo ancora riusciti pur tentando in continuazione di ottenerlo – dobbiamo ricordare ai martinisti anche l’esistenza di statuti e regolamenti, e di fondamenti che vanno rispettati.
L’Ordine martinista, contrariamente a quanto era stato imposto erroneamente in Francia, non richiede giuramenti. Quando si dice che una persona è onesta, non c’è bisogno di farla giurare altrimenti non si ha fiducia in lei e le si fa un continuo ricatto. D’altronde, se è disonesta non terrà in alcun conto i giuramenti fatti. Ma, invece, le promesse fatte da uomo d’onore vanno rispettate pena l’immediata uscita dalla catena che, automaticamente si rinsalda.
Ora, noi abbiamo nel nostro Ordine queste forze estranee, questi uomini che non rispettano le loro promesse. Si tratta di pseudo martinisti ed anche di martinisti in buona fede che hanno scambiato il martinismo per un’associazione massonica o paramassonica, o che il martinismo vogliono asservire ad una potenza estranea, con ciò svuotandolo della sua essenza iniziatica e tradizionale per servirsene a scopi di potenza profana.
A quelli in mala fede, affinché quelli in buona fede possano rientrare nell’alveo martinista, noi ricordiamo che agire in questo modo significa tradimento.
E affinché gli uni e gli altri si rendano conto che, se massoni sono, si son resi indegni di essere tali, e se non lo sono non sono neppur più martinisti anche se continuano a frequentare i nostri gruppi, Noi ricordiamo, rifacendosi a Papus, le seguenti dichiarazioni di principio:”L’Ordine è essenzialmente spiritualista, combatte con tutte le sue forze l’ateismo e il materialismo, e in collegamento con tutte le altre fratellanze iniziatiche, combatte l’ignoranza e dà al simbolismo la grandissima importanza che gli compete in tutte le serie iniziazioni”. Tali dichiarazioni furono confermate in Italia, nel 1923 quando il Gran consiglio italico, sette anni dopo la morte di Papus, si staccò dal tronco francese che aveva fatto del martinismo un’appendice paramassonica della chiesa gnostica, con rituali pressoché massonici, e pretendeva, escludendo le donne dai gradi di probazione, che tutti i martinisti dovessero possedere il terzo grado muratorio. Diceva la comunicazione ufficiale del 5 maggio 1923:
L’Ordine martinista non è una massoneria, non richiede alcun giuramento, non impone vincoli di specie alcuna. Le sue logge non hanno il significato che intende la massoneria; i liberi muratori di ogni rito, possono iscriversi all’Ordine martinista sicuri di rinforzare nello studio e nella meditazione dei simboli la fede massonica”.
Tali dichiarazioni, sempre rispettate in Italia, furono riconfermate nel 1945, alla ripresa dell’Ordine, e nel 1962 (11 dicembre) nel protocollo di unificazione degli Ordini martinisti italiani, nel quale si riconosceva come unica e autentica filiazione martinista in Italia quella della Grande Montagna.
Inoltre noi abbiamo, come ogni Ordine, uno statuto il cui primo articolo recita:
L’Ordine martinista è una libera associazione di Uomini di desiderio i quali si propongono lo studio dei rapporti tra Dio, l’uomo e la natura, e si impegnano ad usare a fine di bene il frutto della loro conoscenza”.
L’Ordine martinista non è dunque una massoneria anche se, per vari motivi, ha adottato nella sua organizzazione forme esteriori che i massoni possono credere somiglianti a quelle massoniche senza rendersi conto che tali forme sono state prese dalle organizzazioni cavalleresche e dalle religioni militari che, a loro volta, le presero dalle organizzazioni iniziatiche.
Ragion per cui si può dire che il martinismo, in quanto Ordine iniziatico, si è richiamato alle antiche organizzazioni del suo tipo, come del resto è vero, e non a quelle massoniche come qualcuno vorrebbe far credere.
Che i martinisti, poi, non siano massoni in quel senso che oggi molte famiglie massoniche ostentano, è provato da quanto Noi, capo dell’Ordine, depositario della sua tradizione, guardiano dei suoi principi dottrinali, conservatore dei suoi archivi essenziali e di probazione, unico autorizzato a parlare e trattare in suo nome - come stabilito dall’articolo 7 degli statuti – Noi che abbiamo fatto solenne promissione di difendere a qualunque costo e con tutti i mezzi a Nostra disposizione le dottrine e le tradizioni dell’Ordine stesso, ebbimo a dire, nel 1969, a San Leo, in occasione di quel convento sugli eggregori e le catene occulte, affermando che i martinisti non possono e non debbono interessarsi di questioni, nobilissime fin che si vuole ma profane se non come materia di studio a fini esoterici. Il martinismo – dicemmo allora, ed oggi lo confermiamo e lo affermeremo sempre - non è palestra di proposte o risoluzioni umanitarie, non deve risolvere problemi di progresso o di benessere economico o sociale; il martinismo è un ordine iniziatico che, attraverso l’iniziazione per gradi annulla le differenze sociali, economiche, razziali e crea un’aristocrazia di Uomini di desiderio che vogliono e devono raggiungere la tranquillità interiore, e tramandare la fiaccola della Tradizione. E spiegavamo, sperando di essere capiti, che negli Ordini iniziatici le differenze di razza o di stirpe sono annullate dalla iniziazione. Chi appartiene ad un Ordine iniziatico – se non ha prevaricato e prevarica – appartiene ad un’unica razza, anzi e meglio, ad una sola ed unica stirpe; l’ammissione all’Ordine attraverso il rito iniziatico è una nuova nascita in una nuova stirpe; la conquista di un grado – se veramente è conquista come abbiamo spiegato, e non usurpazione o prevaricazione, o sfruttamento di conventicole che nulla hanno a che fare con l’iniziazione – è l’affidamento della stirpe e il ricongiungimento ai Mani della stirpe stessa.
Questo dicevamo. Ma ci pare di non essere stati compresi, oppure che la prevaricazione abbia avuto il sopravvento con la costituzione di gruppi cosiddetti omogenei, con la scusa suggestiva, ma falsa, che il ritrovarsi in un gruppo martinista tra fratelli tutti provenienti – ed appartenenti – ad altra associazione, rappresenta un più facile scambio di idee, comunità di intenti, facilità di amalgama, maggior desiderio di aprirsi a nuovi e più ampi orizzonti.
Questa è una menzogna perché, per logica umana, in tal gruppo non si può creare l’omogeneità che, anzi, se ci fosse, ne sarebbe distrutta. Il filosofo incognito di quel gruppo non avrà mai la forza di opporsi ai suggerimenti (o ai voleri?) di un suo adepto che nell’obbedienza dalla quale provengono, e dove si ritrovano, occupa un seggio più alto del suo. Le dottrine martiniste saranno trascurate o travisate e, alla fine, in quel gruppo si parlerà e si tratteranno questioni estranee al martinismo ricadendo nella dialettica profana. Quando non accadrà di peggio.
L’omogeneità non deve essere massonica, teosofica, spiritica, mistica o di altro genere; dev’essere omogeneità martinista, ed è per questo che i veri gruppi omogenei sono quelli dove sciarpe, gradi, cariche di altre organizzazioni sono dimenticate in funzione di quella comunione di intenti spirituali che promana dal sentirsi tutti fratres in unum, alieni da pressioni o sollecitazioni profane, senza giri di tronchi o di borse, senza tasse da pagare, senza giuramenti restrittivi e ricattatori; uomini liberi in quella libertà interiore che proviene dal sentirsi vicini al proprio Creatore, e perciò non legati a imposizioni o a restrizioni contrarie ai dettami della propria coscienza.
Dicevamo, sempre a San Leo, che il significato di omogeneo non è quello di uguale e neppure, come si potrebbe pensare, di simile. In via figurativa – soggiungevamo – si può dire che per produrre una buona bevanda di caffè sono necessari vari chicchi di caffè, diversi per forma, grossezza, profumo e qualità. La bevanda, ovviamente, si ottiene anche con un solo tipo di caffè, ma è certo che la miscela di qualità, tipo, forma, grossezza e profumo diversi, produce la migliore bevanda, Questa è l’omogeneità.
Per questo motivo abbiamo sempre consigliato di non creare gruppi martinisti con persone della stessa estrazione. Ma non siamo stati obbediti. E usiamo il verbo obbedire perché un nostro consiglio dovrebbe essere considerato un ordine.
Concludendo Noi diciamo a coloro che ben sanno che ad essi ci rivolgiamo che hanno sbagliato tutto. Che nessuno li ha pregati di venire tra noi. Che possono far ritorno di dove sono venuti perché essi sono fuori ella nostra catena anche se credono di esserci, sbagliando ancora nel considerarla con mentalità profana. Che qualunque loro tentativo sarà stroncato dalla Nostra legittimità. Che si son lasciati vincere dal dèmone dell’ambizione ma che, se lo vogliono sono ancora in tempo per ritornare a quella virtù martinista che è l’umanità.
A tutti, una volta in più, ripetiamo l’invito a riflettere, a studiare, a leggersi e meditare gli statuti, le dichiarazioni di principio, i quaderni iniziatici; a convincersi che il martinista non cerca potenza terrena, non ha ambizioni profane, non vuol giungere a posti di comando nell’arengo politico o sociale, ma è un uomo di desiderio che cerca conoscenza, che vuol trovare il seme del Sé facendolo germogliare – se ne è capace – per raggiungere la realizzazione. Ma se anche non riuscirà a far germogliare quel seme, l’averlo trovato o anche soltanto l’ansia della sua ricerca, gli darà quella tranquillità interiore che già di per sé, rappresenta una realizzazione che lo farà “vivere” in un mondo che la gran parte dell’umanità ha completamente dimenticato.

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